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30 April 2019 Lazio Storie in Corsia

Intervista a Franca Ida Rossi

Intervista realizzata da Natalia Poggi alla prof. Franca Ida Rossi

 

Nel nostro Paese la “scuola in ospedale” esiste da trent’anni ma sono ancora in pochi a saperlo. Eppure si tratta di un ‘eccellenza del sistema educativo italiano, davvero un fiore all’occhiello che ci invidiano all’estero, dai neozelandesi che lo stanno studiando ai francesi che vorrebbero imitarci. A ignorare l’esistenza della scuola in ospedale e l’importanza che ha per gli alunni costretti ad assentarsi per lungo tempo dalle lezioni a causa di malattia o di ricovero ospedaliero non è soltanto la gente comune ma anche gli addetti ai lavori, cioè docenti, dirigenti scolastici ecc. Di conseguenza pure le famiglie sono all’oscuro di questa opportunità/diritto che hanno i loro figli per non interrompere il corso di studi. A lanciare l’allarme è la prof.  Franca Ida Rossi dirigente scolastico reggente dell’Istituto Comprensivo “via Maffi”, Scuola Polo Lazio per la Scuola in Ospedale e Istruzione domiciliare dal 1° settembre 2017 ad oggi.   La scuola ha tre sedi territoriali nel quartiere di Primavalle a Roma e 4 sezioni ospedaliere in tre Ospedali della città (Policlinico Gemelli, Policlinico Umberto I e una al Bambino Gesù di Palidoro).

Prof. Franca Ida Rossi è davvero poco conosciuto e applicato il servizio pubblico per gli alunni malati?

“Paradossale eppure è così. Neanche chi lavora nelle strutture sanitarie è informato. La prima volta che andai a visitare il presidio scolastico al policlinico Umberto I di Roma chiesi all’ingresso dove fosse la scuola. Mi guardarono sbigottiti: qua signò non ci stanno scuole.  C’è la necessità di dare più evidenza a questa opportunità, anche nelle scuole manca una giusta informazione: non è una realtà di nicchia, è un diritto.  Purtroppo molti colleghi non lo applicano e anziché tentare di salvare l’anno scolastico ad un alunno in difficoltà si preferisce bocciarlo per le troppe assenze.  Invece la scuola deve farsene carico, considerato che, purtroppo, alcune patologie come l’anoressia e bulimia e le fobie scolastiche sono in forte aumento. Si tratta di ragazzi e ragazze che non ce la fanno più ad andare a scuola, schiacciati dai loro problemi e angosce. Non necessitano di ospedalizzazione ma restano, lo stesso, fuori dalla classe per lunghi periodi. La scuola, in questi casi, ha la possibilità di redigere un progetto di istruzione domiciliare individuale. E’ necessario un certificato medico che attesti una patologia superiore ai trenta giorni di assenza, accompagnato dalla richiesta dei genitori di poter usufruire dell’assistenza a casa. Ma prima di tutto ci deve essere consapevolezza da parte degli attori che questo servizio si può fare”.   

Come si fa ad attuare un progetto di istruzione domiciliare individuale?

“Il Progetto a domicilio può essere presentato in qualunque momento dell’anno scolastico. Va redatto dal consiglio di classe dell’alunno. Il progetto, dopo essere stato autorizzato e finanziato in parte dall’Ufficio scolastico regionale di appartenenza, dà la possibilità alla scuola di inviare docenti, una o due volte alla settimana, a casa dello studente malato, in orario aggiuntivo di ore d’insegnamento per le materie fondamentali.  Il progetto è sempre inserito nel POF della scuola. Ogni scuola deve prevedere un tot di spese per l’istruzione domiciliare. Sono 50 ore di docenza: 25 vengono finanziate dalla scuola e le altre 25 dall’USR.  Queste lezioni domiciliari hanno la stessa valenza di quelle fatte in classe in termine di certificazioni e di valutazione quadrimestrale”.

Ci sono anche le nuove tecnologie che possono dare una mano a questi alunni speciali?

“Le nuove tecnologie, come Skype, consentono allo studente che non può frequentare, di seguire in diretta le attività in classe e anche di poter interagire con i docenti e i compagni. Fondamentale però rimane l’incontro con il docente a casa. Serve anche a non perdere il contatto con la scuola. Insomma il vantaggio è duplice: la scuola a domicilio fa guarire prima e garantisce che non si perde l’anno scolastico”.

Negli ospedali invece c’è una vera e propria scuola con i docenti, le classi ecc.?

“Il servizio è attivo in tutti i maggiori ospedali o reparti pediatrici di ogni regione proprio per contrastare l’abbandono scolastico dovuto alla malattia e all’ospedalizzazione. E’ un importante tassello del programma terapeutico e concorre all’umanizzazione del ricovero. In alcuni ospedali ci sono delle vere e proprie aule, proprio come a scuola. Gli insegnanti sono di scuola primaria, secondaria inferiore (tutte le materie), secondaria superiore (materie principali mentre i prof d’indirizzo vengono assegnati man mano che servono). Si coprono tutte la materie anche Educazione Fisica. I prof possono essere di ruolo oppure supplenti con incarichi annuali. C’è un problema: succede che alcuni insegnanti annuali si ritrovano catapultati in una realtà difficile che non riescono a gestire, in genere non sono preparati psicologicamente ad affrontare malattie gravi con esiti a volte infausti, naturale che vengano sopraffatti dalle angosce dei genitori.  Spesso ad aiutarli e a guidarli in questo difficile lavoro sono i colleghi più esperti. Nello stesso tempo c’è bisogno di formare sempre più nuove docenti per gli ospedali anche perché l’ospedalizzazione si sta sempre più contraendo e i malati lungodegenti vengono mandati a casa come succede ad Ematologia. Inoltre alcune malattie, ad esempio quelle oncologiche, sono in aumento”.

E finalmente ora sono pure in arrivo le tanto attese linee guida?

“Le nuove linee guida nazionali nel caso della scuola in ospedale sono ferme al 2003. I tempi sono cambiati e così anche la società e le malattie. Nelle linee guida del 2003 non compaiono ad esempio anoressia e bulimia. Però si è andati avanti lo stesso e quasi nessuno più rifiuta un intervento di istruzione domiciliare ad alunno/a con problemi di anoressia. Infine c’è anche la riduzione dell’ospedalizzazione e nuove emergenze come le fobie scolastiche. Le linee guida si dovevano proprio adeguare”.

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