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23 Januarie 2019 Nazionale Formazione

Esami di terza media in corsia: prof in ospedale per i piccoli studenti malati

foto esami on corsia

TORINO - In ospedale sembra una mattina come tante altre. Nessuno sa che al quarto piano dell’Infantile Regina Margherita sono in corso gli orali degli esami di terza media della Scuola Ospedaliera. A svolgerli ragazzini ricoverati o in day hospital: ieri erano in 7 a concludere il ciclo scolastico nella saletta dedicata a questo programma. Libri, quaderni, registri e un’intera commissione di professori in camice verde. «Ci scambiano per chirurghi, ci mancano solo i pantaloni in tinta», scherzano i docenti di questa scuola tutta particolare, polo della rete piemontese ed eccellenza italiana. Nella nostra regione sono 3 mila gli studenti coinvolti e 60 gli insegnanti in 14 sezioni ospedaliere. Sulla tasca del camice, al posto dell’etichetta con su scritto «dottore» c’è quella di «professore».

Sono insegnanti specializzati in «chirurgia didattica», distaccati in 14 dall’Istituto Comprensivo Peyron di Torino diretto dalla preside Tiziana Catenazzo. Le maestre delle elementari arrivano invece dalla scuola Vittorino Da Feltre, gli insegnanti delle superiori dalla Levi-Arduino. Lavorano qui tutti i giorni dell’anno scolastico, fanno parte dell’équipe di cura insieme ai medici. Tengono lezioni quasi individuali, di durata variabile. E ieri è stato giorno di esami per gli studenti delle medie. «Tutti qui sono più sensibili nei confronti delle persone», racconta Annalisa, 14 anni, alla fine di un ricovero durato due mesi e in attesa di passare l’orale. «Non andavo d’accordo con i miei compagni — spiega —. Ma ora sto meglio, voglio iscrivermi al liceo di Scienze Umane e diventare psichiatra».

Spesso si tratta di ragazzini che si chiudono al mondo, a scuola non se la sentono più di andare. Tra di loro, anche i cosiddetti «hikikomori», una parola creata in Giappone per dire «stare in disparte»: ragazzi «in ritiro sociale volontario», che si tappano in camera senza avere più contatti con le persone all’esterno. «A scuola non ero un santo, avevo raggiunto 70 assenze», dice Alessandro, 15 anni, giocatore di rugby, che allo scritto di matematica in ospedale ha preso 10 anche se dimentica sempre il pi greco. Tante sono le forme di disagio, ma la scuola in qualche modo c’entra sempre. «A volte ne è la causa, come nei casi di bullismo. In altre è il luogo dove il malessere si manifesta con diverse fobie: sono triplicate in 2 anni — spiegano i docenti —. Per questo è così importante che sia proprio la scuola a riportarli nel mondo, ma con un modello didattico diverso, dove i professori o i compagni non sono nemici».

Diverso il caso di chi ha invece malattie oncologiche, nefrologiche o lunghi ricoveri a letto. Anche ieri mattina la commissione si è spostata ed è andata a interrogare in camera per l’orale di terza media. «Bisogna essere pronti ad interrompere la lezione in qualsiasi momento, rispettare i tempi delle terapie», osservano i docenti, che hanno frequentato il Master di secondo livello «Scuola in Ospedale: strategie didattiche di cura». Un corso unico in Italia, attivato dal Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche dell’Università degli Studi di Torino. «Con questi ragazzi non ci si può permettere errori», sottolinea la preside Tiziana Catenazzo, coordinatrice del Master, che ricorda anche l’impegno della Scuola Ospedaliera per l’istruzione domiciliare.

«Per fortuna la permanenza in ospedale si riduce, il ricovero prosegue a casa — continua la preside —. I professori in questo caso vanno a domicilio, ma non possono limitarsi alla lezioncina di greco che hanno tenuto al mattino». Ci va una didattica d’eccellenza, insomma. Ma in cambio si ottiene tanto. «Io sono rinato come insegnante», confessa il professore di matematica. L’arricchimento è garantito. Per tutti.

Chiara Sandrucci

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